LA CORTE DI CASSAZIONE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso proposto da
Altomonte  Luciano  avverso il provvedimento in data 28 febbraio 2003
della Corte di appello di Bari con il quale veniva disposta la revoca
del decreto di ammissione al patrocinio legale per i non abbienti;
    Udita   la   relazione   fatta  dal  consigliere  dott.  Patrizia
Piccialli;
    Letta  la  requisitoria  scritta del procuratore generale, che ha
concluso per l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

                      Svolgimento del processo

    Il  difensore e procuratore speciale di Altomonte Luciano propone
ricorso  per  cassazione  avverso il decreto con il quale la Corte di
appello  di  Bari  revocava de plano, ai sensi degli artt. 112, 113 e
114  d.P.R.  30 maggio  2002,  n. 115,  su  richiesta  avanzata dalla
Agenzia delle Entrate di Bari, il decreto di ammissione al patrocinio
a spese dello Stato emesso dal G.i.p. del Tribunale di Bari in data 6
febbraio  1997  nell'ambito  di un procedimento penale a carico dello
stesso  Altomonte,  in  ordine  al reato di cui all'art. 80, comma 2,
d.P.R. n. 309/1990.
    La  Corte  territoriale  aveva  accolto la richiesta dell'Ufficio
finanziario sulla presunzione della sussistenza di una disponibilita'
di  reddito  superiore  al  limite massimo fissato dalla normativa di
settore, desumibile dalla definitiva sentenza di condanna, laddove si
era  accertato che l'imputato aveva posto in essere, a fini di lucro,
un'attivita'   di   spaccio  di  sostanze  stupefacenti  di  notevole
rilevanza.
    Il  difensore dell'Altomonte, con il primo motivo, lamenta che la
violazione   delle   specifiche   disposizioni  dettate  in  tema  di
patrocinio  a  spese  dello  Stato  e  dell'art.  11  delle Preleggi,
giacche'  i  giudici  di  merito  avevano  ritenuto  l'applicabilita'
dell'art.   112   del  d.P.R.  n. 115/2002  ed  avevano  adottato  il
provvedimento  in  assenza  di  contraddittorio.  Sostiene che, nella
fattispecie  in  esame, nella quale il provvedimento di ammissione al
gratuito  patrocinio  risaliva  al  6  febbraio  1997, avrebbe dovuto
essere  adottata,  invece,  la  procedura prevista dall'art. 29 legge
n. 794/1942,  richiamata  dagli artt. 6, comma 4, e 10 comma 2, legge
n. 217/1990.
    Con  il  secondo  motivo,  denuncia  la  violazione di legge e la
contraddittorieta'  della  motivazione,  per  avere i giudici posto a
fondamento  del  proprio  potere  di  accertamento  delle  condizioni
patrimoniali  dell'imputato  l'art. 1,  commi  9-bis  e  9-ter, legge
n. 217/1990   introdotto  con  la  legge  n. 134/2001,  asseritamente
inapplicabile   alla   fattispecie   in   virtu'   del  principio  di
irretroattivita'  delle  leggi  sancito dall'art. 11 delle Preleggi e
codificato espressamente dall'art. 16, legge n. 217/1990.
    Con   il  terzo  motivo,  lamenta  la  violazione  di  legge  con
riferimento  all'art.  2792  c.c.  e  la  manifesta illogicita' della
motivazione  in  quanto  la  revoca, anziche' fondata su accertamenti
dell'Ufficio  finanziario,  era  stata  disposta  sulla  base  di una
sentenza  di  condanna  intervenuta  nei confronti dell'imputato, non
sostenuta  da  ulteriori  e  diversi elementi idonei a qualificare la
capacita' patrimoniale dello stesso.
    Con  il quarto motivo, lamenta la violazione dell'art. 111 d.P.R.
n. 115/2002,  avendo  l'ordinanza  impugnata disposto l'obbligo della
restituzione  delle  competenze eventualmente gia' liquidate a carico
del  difensore  mentre  le  stesse,  alla  luce  della  norma citata,
avrebbero dovuto essere recuperate nei confronti dell'imputato.
    Con  l'ultimo  motivo,  denuncia  la  nullita'  del provvedimento
impugnato  per  violazione del principio di immutabilita' del giudice
in  quanto  emesso  da  collegio  diverso rispetto a quello che aveva
emesso  la  sentenza  in  grado  di appello, pur essendo pervenuta la
comunicazione  della  Agenzia  delle  Entrate  quando la sentenza era
ormai passata in giudicato.
    Il  procuratore  generale presso questa corte condivide il motivo
di censura relativo alla violazione del principio del contraddittorio
nella  procedura  adottata  dalla Corte di appello di Bari e conclude
per l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

                       Motivi della decisione

    Come si e' evidenziato, con il primo motivo il ricorrente lamenta
che  il  provvedimento  impugnato e' stato emesso ai sensi del d.P.R.
n. 115/2002  con  decreto  de  plano,  con conseguente violazione del
principio  del contraddittorio, mentre, risalendo il provvedimento di
ammissione  al  gratuito patrocinio al 23 luglio 1997, avrebbe dovuto
trovare  applicazione,  nel caso di revoca, l'art. 10, comma 2, della
legge n. 217/1990.
    La censura e' con evidenza infondata.
    Va   al  riguardo  decisivamente  osservato  che,  nella  specie,
vertendosi  in materia processuale, diversamente da quanto articolato
in  ricorso,  e'  stata fatta corretta applicazione del principio del
tempus  regist  actum,  tenuto  conto  che  la  richiesta  di  revoca
dell'Agenzia delle Entrate reca la data dell'8 gennaio 2003.
    Correttamente,   pertanto,  e'  stata  fatta  applicazione  della
disciplina  contenuta  nel d.P.R. n. 115/2002, segnatamente nell'art.
112.
    Orbene  - assorbita allo stato ogni altra doglianza - la rilevata
necessita'  di  dover  fare qui applicazione dell'art. 112 del d.P.R.
n. 115/2002  impone  alla  corte  di dover sollevare in proposito una
questione  di  costituzionalita',  risultando  non  infondato, per le
ragioni  di  cui  si  dira'  infra,  il  dubbio che tale disposizione
(rectius,  l'art.  112  del  d.lgs.  30  maggio 2002, n. 113, che poi
«riprodotto» nell'art. 112 del d.P.R. n. 115/2002) sia stata adottata
in assenza di delega.
    Non  e'  inutile in proposito ricordare che il d.P.R. n. 115/2002
raccoglie  i  testi  unici  delle  disposizioni legislative di cui al
d.lgs.  n. 113/2002  (Testo  unico  delle disposizioni legislative in
materie  di  spese  di giustizia) e di quelle regolamentari di cui al
d.P.R.  n. 114/2002  (Testo unico delle disposizioni regolamentari in
materia di spese di giustizia).
    Il  d.lgs.  n. 113/2002  trova  il  suo  fondamento  nella delega
contenuta    nell'art. 7    della   legge   8   marzo   1999,   n. 50
(Delegificazione  e  testi  unici  di  norme concernenti procedimenti
amministrativi,  legge  di  semplificazione  1998),  come  modificato
dall'art. 1, comma 6, della legge 24 novembre 2000, n. 340.
    Dal  preambolo  dello  stesso  decreto  legislativo emerge che la
delega  e' esercitata con riferimento alle materie indicate ai nn. 9,
10  e  11  dell'allegato  n. 1  della  predetta legge n. 50/1999, che
rispettivamente  attengono al procedimento di gestione ed alienazione
dei  beni  sequestrati  e  confiscati,  al procedimento relativo alle
spese  di giustizia ed ai procedimenti per l'iscrizione a ruolo ed il
rilascio   di  copie  di  atti  in  materia  tributaria  ed  in  sede
giurisdizionale, cioe' l'intera materia delle spese di giustizia, che
costituisce l'oggetto sostanziale della delega stessa.
    Le  SS.UU.  di  questa  corte  hanno  in piu' occasioni (v. Cass.
SS.UU.,  25  febbraio  2004,  p.m.  c. Lustri e, da ultimo, 14 luglio
2004,  Pangallo)  sottolineato  che  l'oggetto della delega contenuta
nell'art. 7,  comma  2,  lett. d) della legge 8 marzo 1999, n. 50, e'
espressamente  limitato  al  «coordinamento  formale  del testo delle
disposizioni  vigenti» con facolta' di «apportare nei limiti di detto
coordinamento,  le  modifiche  necessarie  per  garantire la coerenza
logica  e  sistematica  della  normativa, anche al fine di adeguare e
semplificare  il  linguaggio  normativo»,  con  la conseguenza che in
nessun   modo  le  singole  norme  del  testo  unico  possono  essere
interpretate nel senso volto a determinare apprezzabili modifiche, in
particolare  a  detrimento  delle tutele sostanziali e procedimentali
gia' riconosciute, rispetto alla situazione normativa precedente.
    Il  problema  che  inevitabilmente consegue da tale ricostruzione
sistematica, e che la corte deve necessariamente affrontare, e' cosi'
costituito  dall'eventuale  contrasto  del  richiamato  art. 112  del
d.lgs.   n. 113/2002   («riprodotto»   nell'art.   112   del   d.P.R.
n. 115/2002), con il contenuto della legge di delega, laddove questa,
come  si  e'  evidenziato  in  premessa,  attribuisce  al legislatore
delegato  un  potere  limitato,  tale da escludere la possibilita' di
qualsiasi   modifica   sostanziale  delle  strutture  portanti  della
disciplina delle materie cui la delega stessa si riferisce.
    Orbene,  non  sembra  dubitabile  che  la  citata disposizione ha
ridisciplinato,  sotto  il  profilo  sostanziale, tutte le ipotesi di
revoca  del beneficio, prevedendo, alle lettere a), b) e c) del comma
1, le revoche «d'ufficio» di carattere c.d. formale, ed alla lett. d)
dello  stesso comma 1, quella «su richiesta dell'ufficio finanziario,
presentata  in  ogni  momento, e comunque non oltre cinque anni dalla
definizione  del processo, se risulta provata la mancanza, originaria
o  sopravvenuta,  delle  condizioni di reddito», e prevedendo poi, al
comma   2,   la  facolta'  di  disporre  la  revoca  all'esito  delle
integrazioni  richieste  ai  sensi  dei  commi  2  e  3  dell'art. 96
(corrispondenti ai vecchi commi 9-bis e 9-ter dell'art. 1 della legge
n. 217/1990) e, al comma 4, la comunicazione all'interessato di copia
del decreto di revoca «con le modalita' indicate nell'art. 97».
    All'art. 113  ha  ribadito  la ricorribilita' per cassazione (non
piu'  limitata  ai soli casi di «violazione di legge») solo contro il
decreto   che   decide   sulla   richiesta   di  revoca  dell'Ufficio
finanziario.
    Sotto il profilo squisitamente procedimentale, statuisce, invece,
che  in  tutte  le  ipotesi  di  revoca sopra elencate, il magistrato
revoca l'ammissione con decreto motivato.
    La  norma,  nella sua inequivoca formulazione, appare decisamente
innovativa rispetto al sistema della legge n. 217/1990 che prevedeva,
all'art. 10,  comma  2,  nelle  ipotesi  di  revoca  o  modifica  del
provvedimento  di  ammissione  su  richiesta del pubblico ministero o
dell'ufficio  finanziario  (come  nel  caso in esame), l'applicabita'
della  procedura  di  cui  all'art. 6,  comma  4, che rinviava, a sua
volta,  all'art. 29  della  13  giugno  1942,  n. 794,  ergo,  ad una
disposizione  che  dettava,  in  proposito, una disciplina ispirata a
garantire  il  principio  del  contraddittorio  (essendo, tra l'altro
prevista la comparizione degli interessati davanti al giudice).
    E'  evidente,  pertanto,  che  la nuova normativa, inequivoca nel
senso  dell'abrogazione  del  procedimento  in contraddittorio tra le
parti precedentemente previsto avverso la revoca del provvedimento di
ammissione,   e  ora  non  piu'  richiamato  neppure  implicitamente,
determina una sostanziale modifica del previgente sistema.
    Cio',  a  prescindere  dal  rilievo che potrebbe risolversi in un
grave  pregiudizio per le garanzie difensive dell'interessato, sembra
apparire   a  questa  corte,  assorbentemente,  non  autorizzato  dal
legislatore delegante.
    Non  e' quindi manifestamente infondato il dubbio che ci si trovi
in  presenza  di una disposizione (l'art. 112 del d.lgs. n. 113/2002,
come  «trasfuso»  nel  d.P.R.  n. 115/2002) di rango legislativo (per
l'effetto  suscettibile  di  censura  di  costituzionalita': v. Corte
cost. 18 giugno 2003, n. 212), adottata in contrasto con i principi e
i limiti della delega; anzi, piu' precisamente adottata tout court in
assenza  di  una  disposizione  di delega. Cio' che induce a ritenere
violato il disposto dell'art. 77, comma 1, Cost.
    La  questione,  va  ribadito, appare rilevante per la definizione
del  presente  giudizio,  per  le  ragioni  sviluppate in premessa in
ordine   alla   necessaria   applicabilita'  ratione  temporis  della
disposizione censurata.